Da Caiazzo a
Gornja Bistra
Tutto è cominciato nel 1999 con le esperienze di Sarno,
con il censimento dei profughi e sopravvissuti della
guerra in Bosnia
e con il primo campo di lavoro e condivisione presso
l’ospedale di Gornja Bistra - Zagabria
La guerra nei Balcani
A quasi un decennio dalla morte di Tito avvenuta nel 1980, la
forza tirannica che aveva tenuto unita la Repubblica Socialista Federale di
Jugoslavia che impose la “Fratellanza e l’Unità” cedette il passo alle antiche
questioni etniche e religiose che in questa parte di mondo erano state
sottoposte ad un forzato silenzio.
Dopo circa sei anni di relativa quiete, garantita sicuramente
da una certa stabilità economica, lo scoppio dello scandalo politico
finanziario dell’
Agrokomerc , la più
importante impresa bosniaca e l’ascesa di
Slobodan Milošević, divenuto presidente della
Repubblica Socialista di Serbia nel novembre del
1987, le antiche
divisioni iniziarono a tornare vorticosamente alla ribalta.
Il Memorandum dell'Accademia Serba delle Scienze pubblicato nel 1986 da intellettuali
serbi poneva le basi di un neo nazionalismo concentrato sull’idea della
"Grande Serbia".
Proprio il teorema nazionalista di fondo secondo la
quale “la Serbia è la dove c’è un Serbo” contribuiva in tal periodo ad
alimentare contrapposti ideali di nazionalismo secessionista da parte delle
Federate.
Alle rivendicazioni croate face eco la "Primavera slovena" ed anche in Kosovo, a prevalenza albanese,
si spingeva per una immediata indipendenza.
Nel Montenegro fu eletto invece il giovane filo-serbo
Momir
Bulatović e la vecchia classe dirigente taoista fu letteralmente spazzata
via.
Tali accadimenti stavano trascinando con esponenziale
velocità la Federazione Jugoslava ad un ormai prossimo ed inevitabile scontro armato
che si tramutò poi nella più violenta e sanguinosa guerra europea dopo la
Seconda Guerra Mondiale e che proprio tra il 1991 ed il 1995 ha insanguinato i territori della ex Jugoslavia causandone la
dissoluzione.
Genocidi, stupri di massa, esecuzioni sommarie di militari e
civili, rappresaglie e pulizia etnica sono stati perpetrati e a loro volta
subiti da tutte le etnie in campo: croati e bosniaci a prevalenza cattolica,
bosniaci a prevalenza musulmana e serbi ortodossi concentrati per lo più nelle
zone rurali della Bosnia.
La furia della guerra oltre ad aver portato distruzione e
morte ha radicato nei sopravvissuti radicato la rassegnazione all’odio tra le
etnie presenti in quella terra così lontana eppure così vicina.
Non solo scontri tra i diversi eserciti ma anche uno
spaventoso numero di stupri fino alla pulizia etnica soprattutto a danno della
componente musulmana hanno macchiato di sangue una terra incantevole,
costellata da migliaia di colline verdi da cui spuntavano borghi e cittadine
incantevoli, spesso caratterizzate e
rese uniche proprio dall’incontro delle diverse culture lì presenti, allietate da
corsi d’acqua, laghi e foreste a perdita d’occhio.
Già dal
1993 don Ermanno D’Onofrio era attivo
nei territori della Croatia che aveva di recente raggiunto la propria
indipendenza da Belgrado dopo la guerra di secessione e nella Bosnia Herzegovina,
dove in quel tempo la guerra causava altre vittime ed altro terrore.
Tra i
sopravvissuti, rifugiati e sfollati ammassati in campi profughi allestiti
prevalentemente nei fabbricati a vocazione recettizia, ubicati in larga parte nelle
zone di mare come Baska Voda, il giovane don Ermanno tentava di portare un
raggio di luce in un inverno dell’anima che sembrava non finire mai.
Nella sua
opera “Tempi di Bosnia”, diario testimonianza dove racconta attraverso
le esperienze dei sopravvissuti gli orrori della guerra e l’assistenza ed il
rimpatrio dei profughi, Don Ermanno ci apre le porte ad un mondo alternato da
miseria umana e da speranza, da paura e da coraggio, dove alla fine la forza di
amare si sovrappone all’odio cieco attraverso un percorso di fede solo scossa
ma mai sopraffatta da tanta violenza.
Anzi,
proprio la sofferenza finisce per fortificare la fede ed “Amare Dio Amore” ha
rappresentato per migliaia di persone l’unica ancora di salvezza.
Nei futuri
progetti di lavoro e condivisione, don Ermanno non solo ha richiamato alla vita
le vittime della guerra, siano stati essi Cattolici Ortodossi
o Musulmani, ma ha anche riportato luce nei cuori dei tanti volontari
che grazie a lui hanno riscoperto i valori essenziali dell’esistenza.
Sarno, 8 –
18 Agosto 1999
I campo di
lavoro e condivisione in Episcopio di Sarno (SA)
Così dopo aver letto le
testimonianze delle esperienze umanitarie maturate nella ex Jugoslavia
martoriata dalla guerra, Giovanni Mastroianni, con gli amici Ciro Mastroianni e
Peppe Fiore, tutti provenienti dalla cittadina di Caiazzo (CE), vennero condotti
dallo stesso don Ermanno, allora fondatore ed ispiratore dell’associazione “Insieme per gli Altri” (1996) alla
partecipazione del primo campo estivo di lavoro e condivisione in Sarno (1999),
dove nella frazione di Episcopio, distrutta dall’alluvione del maggio 1998, si
tentava di riportare speranza e calore umano.
Decine di morti e tantissimi feriti,
case letteralmente spazzate via e sopravvissuti piegati dalla disperazione
causata da un mare di fango che d’improvviso si era abbattuto sulla città salernitana
con una furia improvvisa fu il quadro desolante apertosi agli occhi dei
volontari.
Nei racconti dei tanti testimoni di
quel disastro, alla disperazione per le vittime e per gli enormi danni subiti senza un’apparente motivazione, si
sovrapponevano tante testimonianze di
amore e solidarietà, come quella del padre del ragazzo morto nel tentativo di
strappare al fiume di fango e detriti i suoi cari, ricordato da un volto rigato
di lacrime e commozione che sembrava a stento poter essere contenuto nei
lineamenti divenuti duri come il marmo.
L’esperienza maturata segnò la futura
formazione dei partecipanti che di lì in poi furono letteralmente rapiti dalla
straripante e coinvolgente azione di humanitas
che permeava l’operato di don Ermanno. La Fede e la Parola di Dio si declinavano
in gesti concreti e la tanta riconoscenza ricevuta dai giovani volontari non
poteva essere minimamente paragonata all’impegno da loro profuso.
Il caldo afoso di quella estate non
fermava i piccoli bimbi di Episcopio, sempre desiderosi di giocare, di
divertirsi, di lasciarsi alle spalle quell’evento spaventoso.
I sorrisi contagiosi dei bimbi di
Sarno crebbero di numero di giorno in giorno ed a fatica i volontari riuscivano
a contenerli ed organizzarli nella varie attività.
Superare l’iniziale diffidenza della
popolazione non fu facile poiché
maturata in seno ad una devastazione psico fisica che accentuava la chiusura
verso il prossimo ma, una volta oltrepassato tale primo ostacolo, l’affetto
maturato attraverso la condivisione della sofferenza ed il lavoro profuso per
una prima ricostruzione dei luoghi devastati dalla valanga di fango, hanno
saldato un legame che tutt’oggi si mantiene integro e che vede proprio quei bimbi
e ragazzi di Episcopio, ormai adulti, attivi come volontari della “Fondazione il Giardino delle Rose Blu” nei vari progetti di solidarietà in Italia e
all’estero.
Agosto – Settembre 1999: in viaggio verso la Bosnia
devastata dalla guerra
Dopo
l’esperienza di Sarno, i cugini don Ermanno D’Onofrio e Giovanni Mastroianni,
verso la fine di quello stesso mese di agosto dell’anno 1999, partirono da
Frosinone alla volta della Bosnia Herzegovina per una ricognizione sulle condizioni
dei profughi ritornati nelle loro abitazioni o ancora ammassati presso i campi accoglienza.
Molti erano
ancora presenti nei campi profughi di Baska Voda, cittadina situata nel centro
sud della costa Croata , dal mare cristallino, raggiunta a bordo di un traghetto semi vuoto salpato da
Ancona la sera precedente ed approdato nel
primo mattino nel porto di Spalato.
Interi
nuclei familiari, composti in alcuni casi anche da dieci e più persone,
vivevano in piccoli monolocali ricavati da vecchie strutture recettizie che
sembravano sull’orlo di scoppiare.
Eppure, in
condizioni umane inconcepibili per chi proveniva dalla vicinissima Italia, tutti
quelli che incrociavano don Ermanno, bambini , anziani, uomini e donne, si lasciavano andare in abbracci commoventi
dove un silenzio intenso veniva rotto da qualche singhiozzo o qualche parola
sussurrata in croato.
Appariva
evidente come tutto l’amore e la solidarietà portata da don Ermanno e dal gruppo
di Frosinone negli anni addietro, avesse lasciato un segno profondo ed il seme
dell’amore cominciava a dare i suoi frutti.
In una
stanza strapiena di persone posta al secondo piano di quello che, in un tempo che
sembrava ormai incredibilmente lontano, era stato un albergo di mare e di
vacanza, un ragazzo suonava con orgoglio la chitarra ricevuta in dono dall’associazione
solo qualche mese prima.
Quelle note
riempirono subito la piccola stanza e diffondendosi poi tra i piani dell’intera
struttura sembravano sorreggere fisicamente il dono di speranza e di amore di
Don Ermanno.
Proseguendo dalla costa in direzione
nord est verso la città di Mostar, distrutta nel conflitto balcanico dai
combattimenti consumati tra i Bosniaci Musulmani, i Bosniaci Croati di
fede Cattolica e dai nazionalisti Serbi, il paesaggio tipicamente Mediterraneo cedeva prima
il passo a zone rocciose ed aride salvo poi ridipingersi dei tipici colori
collinari grazie alla vegetazione che a tratti attecchiva caparbia sul suolo
duro. Altipiani deserti circondati da montagne sempre più verdi preparavano
l’arrivo a Mostar, fondata nel XV secolo dai Turchi Ottomani e sviluppatasi
attorno al fiume Neretva che nel lento scorrere verso la città finiva per
essere inghiottito dalla fitta vegetazione e dalle tipiche case moresche
costruite fino alle sue sponde.
Il vecchio ponte simbolo della città
era stato raso al suolo e le mura delle case erano tempestate da enormi fori di
proiettili, molti dei quali avevano tranciato vite ed i sogni dei
sopravvissuti.
In effetti, durante l’ultimo
conflitto balcanico Mostar che era abitata in prevalenza da Bosniaci Musulmani,
Bosniaci Croati e da una minoranza Serba (così rappresentando un microcosmo
etico che rifletteva quello dell’intera Bosnia Erzegovina) fu bombardata e distrutta per la prima volta
nell’aprile del 1992 dall’Esercito Popolare Jugoslavo dopo che la Bosnia
Herzegovina si dichiarò indipendente dalla Jugoslavia di Tito.
Dopo il bombardamento le truppe
Serbo - Montenegrine, con l’appoggio dell’esercito popolare Jugoslavo (JNA),
conquistarono quasi tutta la città bosniaca.
All’assalto Serbo si contrapposero
le milizie Bosniache Musulmane e Bosniache Croate che, riunite in un unico
scopo, finirono con liberare nuovamente la città e scacciare definitivamente la
minoranza Serba.
Nel successivo anno 1993 gli stessi
Bosniaci Musulmani e Bosniaci Croati che
avevano liberato Mostar dall’influenza Serba iniziarono una lotta tra di loro
per il controllo della città. Nel maggio dello stesso anno i Bosniaci Croati distrussero
il quartiere musulmano di epoca medievale e nel successivo novembre distrussero
il famosissimo ponte di pietra “Stari Most” del XVI secolo con un colpo di
mortaio.
Sia croati che musulmani si
macchiarono di efferatezze a danno dell’altra etnia ed entrambi ricorsero
all’uso di campi di concentramento.
Solo nel febbraio del 1994 gli
eserciti si fermarono lasciando una città divisa tra cattolici e musulmani e
solo dal 1996 fu resa nuovamente possibile la libera circolazione da una parte
all’altra della città.
Proseguendo
in direzione di Kupres che come narrato in “Tempi
di Bosnia” era stata teatro di violenti scontri unitamente alla vicina
Bugoino, ciò a causa del loro alto valore strategico che aveva portato i Serbi
a feroci incursioni che avevano “… costretto
la popolazione per lo più croato - cattolica e musulmana ad abbandonare le
proprie abitazioni”.
Dopo aver percorso chilometri tra
dolci alture e verdi foreste la mente
cominciava timidamente a lasciarsi rapire da tanta quiete che però veniva
brutalmente interrotta dalla vista di villaggi fantasma che apparivano
interamente distrutti.
Anche a Kupres la prima vista della
città riportava subito all’attenzione della mente cosa era accaduto pochi anni
prima.
Una chiesa completamente distrutta
dai bombardamenti era la testimonianza visiva più marcata che ci si potesse
attendere valicando l’accesso alla cittadina.
Ma fu forse a Kupres più che in ogni
altro luogo ad allora incontrato che l’affetto straripante riservato all’arrivo
di don Ermanno si tinse dei colori più vivaci.
Dopo che evidentemente la notizia
dell’atteso ritorno si era diffusa tra i residenti, decine di bambini festanti,
da soli o accompagnati dalle loro madri, correvano verso quel giovane uomo che venuto
dalla lontana Italia li aveva già accompagnati, nel corso degli anni, dai campi
profughi fin alle loro case o accuditi quando le loro dimore erano ancora
devastate dalla furia dell’odio cieco che solo la guerra può elevare a flagello
terreno.
In particolare in molti ricordavano con
immensa gioia il campo di animazione organizzato proprio dall’associazione “Insieme per gli Altri” nel 1997.
Le case venivano letteralmente
aperte al giovane don Ermanno al quale veniva offerto tutto quanto potesse essere
condiviso anche in un tempo di enorme ed evidente difficoltà economica.
Perciò non fu facile riuscire ad
accontentare ogni richiesta di accoglienza e difficilissimo si manifestò
doverne declinare tante, dati i serrati tempi che la fitta tabella di marcia
imponeva.
Chi sapeva che per ovvie ragioni di
tempo non avrebbe potuto ospitare don Ermanno presso la propria abitazione, lo
raggiungeva dove era ancora intento in saluti, abbracci ed intensi scambi di ricordi.
La gratitudine, la riconoscenza e
l’affetto dilagavano ed il senso di commozione sembrava non abbandonare neanche
per un istante le giornate trascorse nella terra di Bosnia, dove gli orrori
della guerra erano ancora visibili più nei racconti e negli occhi dei
sopravvissuti che nelle tonnellate di macerie sparse in ogni dove.
Dicembre
1999 : Gornja Bistra !
Nell’inverno dello stesso anno, tra
il 16 ed il 23 dicembre 1999, alcuni volontari appartenenti all’Associazione “Insieme per gli Altri” furono guidati da
don Ermanno per la prima missione di lavoro e condivisione presso l’ospedale
pediatrico di Gornja Bistra distante pochi chilometri da Zagabria. La struttura
ospitava quasi un centinaio di anime, soprattutto neonati, bambini ed
adolescenti, colpiti dalle più gravi patologie genetiche ed abbandonati alle
cure di personale impegnato in numero assolutamente insufficiente rispetto
all’enorme e delicatissima mole di lavoro utile alla cura dei minimi e
delicatissimi bisogni dei piccoli ospiti.
Da Caiazzo (CE) Peppe Fiore e
Giovanni Mastroianni, a bordo di un vecchio minibus messo a disposizione per
l’occorrenza da una ditta di pulizie industriali campana, carico di aiuti
umanitari e piccoli regali fino all’inverosimile, si unirono al gruppo in
partenza da Frosinone.
Il viaggio lungo ed estenuante, fu rallentato
dall’abbondante neve che aveva segnato un tragitto di circa millecento
chilometri percorso in diciotto ore da una vera e propria carovana umanitaria formata da tre minibus carichi di aiuti
umanitari e un autobus con circa venti volontari. Il gruppo dell’associazione “Insieme per gli Altri” giunse così in
piena notte alle porte di quella che appariva una tipica villa settecentesca
russa decaduta, incastrata in una cornice di neve che ne alterava la sagoma.
La struttura decadente, a tratti
fatiscente, sembrava un tutt’uno con il freddo glaciale che attanagliava il
cielo e la terra di quel piccolo angolo di mondo.
In particolare la neve abbondante
sembrava aver coperto l’ospedale di Gornja Bistra in un abbraccio perenne come
a volere tener lontano tutti quelli che avessero voluto aprire il portone di
ingresso e portare un po’ di luce, di speranza e di gioia.
Forse così sarà accaduto per anni,
fin quando don Ermanno non valicò quella soglia.
Da quel momento, chi sembrava essere
stato destinato solo alla sofferenza e all’oblio, incominciava ad assaporare
l’amore incondizionato, totale e costante del giovane sacerdote e dei suoi volontari
che, dapprima sconcertati da quanto loro visto, vennero poi totalmente rapiti
dall’esperienza più tenera e sconvolgente che avrebbero potuto immaginare.
E fu così che quei teneri esserini desiderosi
solo di gesti d’affetto, per anni incastonati in un gelo di dimenticanza,
incontrarono il calore portato da don Ermanno. Da quel momento per i “piccoli fiori
ghiacciati di Zagabria” ebbe inizio una lunga primavera di affetto.
Questa esperienza fu fondamentale e
si rivelò essere poi la colonna portante nella nascita e nella consolidazione
della “Fondazione Internazionale il
Giardino delle Rose Blu” voluta sempre da don Ermanno per convogliare gli
sforzi esponenziali di tanti giovani che si avvicinavano al giovane sacerdote
di Frosinone.
I volontari di don Ermanno, poco più
di venti, si suddivisero in piccole squadre di cinque - sei componenti che a rotazione
provvedevano a piccoli lavori di manutenzione e ristrutturazione ed alla cura
dei bambini, per lo più portati fuori dai loro giacigli dove per troppo tempo erano
stati costretti a trascorrere intere giornate quasi tutte uguali e così poterono essere riportati
all’allegria con giochi improvvisati.
Da quell’esperienza sarebbero poi stati
organizzati fin dal successivo dicembre 2000 – gennaio 2001 i futuri campi di
lavoro e condivisione in Gornja Bistra che portarono alla ristrutturazione e
modernizzazione non solo dell’immobile, ma anche di tutta l’organizzazione
lavorativa e gestionale.
I futuri campi
di lavoro e condivisione di Gornja Bistra e di nuovo la Bosnia
Dopo il primo incontro con la realtà
di Gornja Bistra , ossia dopo circa un anno, nel periodo 17 – 23 Dicembre 2000 proprio
presso l’ospedale pediatrico fu organizzato in modo più organico e sistematico un
nuovo campo di lavoro e condivisione.
Forti della prima esperienza
maturata circa un anno prima, nonché dei successivi contatti istituzionali ed
informali, sopralluoghi intermedi e fitta collaborazione con l’Ambasciata
italiana in Croatia, sia i volontari che avevano partecipato alla prima
esperienza che nuovi aggregati, ebbero la possibilità di cimentarsi in quella
rinnovata esperienza di amore e condivisione unica che si sarebbe ancora ripetuta
nel tempo futuro arricchendosi sempre di nuovi spunti di concreta humanitas.

Oltre a don Ermanno ed ai volontari
di Frosinone questa volta da Caiazzo giunsero a Gornja Bistra oltre a Giovanni
Mastroianni - alla sua seconda e consecutiva esperienza presso l’ospedale
pediatrico - anche nuovi volontari come Nunzia
Silvestro (che sarebbe diventata attivissima in seno alla “Fondazione il Giardino delle Rose Blu”) e le dolcissime sorelle
Anna ed Antonella Mastrocinque mentre da Napoli giunsero Andrea Torino ed
Antimo Cappuccio anche loro di lì in poi particolarmente attivi per la
Fondazione nel capoluogo partenopeo.

Dopo mesi di lavoro, oggi, grazie
all’impegno di don Ermanno e di tutti i volontari che si sono avvicendati e che
si avvicendano presso l’ospedale pediatrico di Gornja Bistra, ormai interamente
ristrutturato, si accinge ad essere ulteriormente ampliato e modernizzato; sono
stati applicati innovativi protocolli di riabilitazione psico motoria basati
sulla partecipazione emozionale, ideati da don Ermanno (intanto affermatosi a
livello accademico come psicologo e psicoterapeuta anche grazie ai suoi studi di
ricercatore e collaboratore universitario) e dal suo staff tecnico, formato
prevalentemente da psicologi e psicoterapeuti; viene garantita una presenza di
volontari permanente che nell’appuntamento annuale della tendopoli estiva, estesa di recente anche a
interi nuclei familiari, raggiunge la massima forma di gioiosa condivisione e
vede la partecipazione di decine e decine di volontari provenienti ormai da
tutto il mondo.

Chiunque valicherà la soglia
dell’ospedale di Gornja Bistra avrà immediatamente chiara la missione di cui è
stato investito don Ermanno d’Onofrio e, nel far parte di un progetto più
grande di quello in itinere, scoprirà davvero il senso superiore delle cose e
della vita, ma soprattutto capirà nel profondo il significato dell’esortazione
ad “Amare Dio Amore”.
2008 Nuove
prospettive di Bosnia: Sarajevo, Cerska, Sebrenica
Dopo tanti campi di lavoro e
condivisione tenutisi presso l’ospedale di Gornja Bistra, la tendopoli estiva e
tutte le attività correlate che nel corso dei vari anni hanno visto lì
cimentarsi centinaia di volontari ormai provenienti da ogni parte del mondo, nel
gennaio dell’anno 2008 don Ermanno conduce storici volontari, tra cui Antonio
Di Tomassi, Giovanni Mastroianni, Pietro Signeri, Nunzia Silvestro e Dora Stankovich nei
luoghi di Bosnia dove già si era recato anni prima unitamente ad associazioni
umanitarie durante gli ultimi mesi del conflitto balcanico
Invero, la possibilità di estendere
il raggio di azione della “Fondazione
Internazionale Il Giardino delle Rose Blu” ( che dall’esperienza di Gornja Bistra ha preso
il nome e che per necessarie ragioni logistiche e burocratiche si è sostituita
all’organizzazione di “Insieme per gli Altri”) dalla Croatia alla Bosnia è
stata resa possibile soprattutto grazie al lavoro costante di tanti collaboratori
che quotidianamente l’amministrano dalla sede di viale Europa n. 44 in
Frosinone, tra cui spicca per la decennale dedizione e professionalità Alessandra
Testani.
La nuova prospettiva era quella di
sviluppare anche in Bosnia, questa volta anche lì in modo continuativo ed
organizzato, una struttura operativa della Fondazione simile a quella ormai
consolidata in Croatia e che aveva avuto il suo fulcro in Gornja Bistra.
Fu così che giunti a Sarajevo con quattro
minibus per il trasporto di volontari ed aiuti umanitari partiti da Frosinone a
cui se ne aggiunsero altri tre provenienti dalle regioni del Nord Italia, dopo
quasi ventiquattro ore di viaggio ed oltre millecinquecento chilometri di
viaggio trascorsi quasi tutti sotto abbondanti nevicate e su strade rese quasi
impraticabili dal ghiaccio e dalla neve,
i volontari finalmente alloggiarono stremati nella struttura chiamata “sprofondo”
, deputata proprio alla ricezione ed accoglienza di gruppi di volontari e
pellegrini che giungevano nella capitale bosniaca.
Anche le lunghe soste alla dogana a
cui furono costretti (come sempre) i volontari sembrarono interminabili, forse più
estenuanti del viaggio stesso.
Sarajevo appariva come si era sempre
vista nelle immagini televisive: grigia, immersa in un freddo intimo che
sembrava poter far da cornice perenne alla città e che avvolgeva i quartieri del centro più
moderno, disegnati in perfetto stile comunista, da cui emergevano a tratti tante
moschee ed altissimi palazzi direzionali dove i cecchini in tempo di guerra
trucidavano abitanti inermi mentre erano in procinto di andare a fare la spesa
per garantire la minima sopravvivenza dei loro familiari.
Come avremmo avuto modo di conoscere
dai racconti dei sopravvissuti, piccoli bimbi avevano salutato per l’ultima
volta le loro madri il cui unico peccato era stato quello di andare a comprare
il pane o un po’ di frutta.
Mogli e fidanzate avevano visto
morire i loro compagni mentre scappavano sotto il tiro dei cecchini o dei
militari che tentavano di rivendicare la
propria fede con pretesti etnici e religiosi che nulla avevano a che fare con Dio. Tutto
ciò accadde in una città dove non molti
anni prima Cattolici, Ortodossi e Musulmani avevano convissuto rispettando le
loro differenze, così come magistralmente rappresentato dalla penna attenta e
profonda di Ivo Andric (premio nobel per la letteratura) che forse più di tutti
è riuscito a cogliere l’essenza della questione bosniaca spingendosi fin alle
sue radici.
L’orrido superò la più squallida forma
di ogni immaginazione quando un sopravvissuto ci ricordò che tra i cecchini
appollaiati come avvoltoi, o meglio, nascosti
come topi su quelle torri di odio, si erano tragicamente distinti molti
volontari occidentali che avrebbero addirittura pagato ingenti somme di denaro pur
di assicurarsi una macabra esperienza nel safari umano di Sarajevo.
Le tracce della guerra erano ancora
più tangibili a pochi chilometri dalla periferia cittadina dove apparivano
segni di devastante crudeltà consumati nelle zone rurali.
Anche il fronte di colline che si
affacciavano su Sarajevo, un tempo zona residenziale esclusiva, era stato
tramutato dalla logica bellica in una perfetta zona di tiro ed anche da lì la
morte corse veloce fondendosi con i proiettili dell’artiglieria.
Eppure scivolando tra le vie di
Sarajevo iniziavano a cogliersi i segni di quotidiana spontaneità che mai ci si
poteva immaginare di incontrare dopo tanta sofferenza. In particolare tra le
stradine, i piccoli negozi ed i punti di ristoro della zona medioevale prettamente
musulmana, si sprigionava un tipico calore mediterraneo che faceva da traino ad
una promessa di serenità.
Da Sarajevo fu raggiunto l’ospedale
psichiatrico di Drin dove molti uomini avevano trovato un rifugio dal profondo
disagio che la guerra, con i suoi incubi materializzati, aveva conficcato loro
nel cuore e nel cervello.
Nei giorni che seguirono fu la volta
di Cerska, luogo desolato della Bosnia centrale dove foreste di alberi gracchiati
che sembravano spuntare direttamente dalla roccia nuda, annunciavano la miseria
e la povertà che lì albergava.
Piccole baracche di cemento ospitavano varie famiglie
soprattutto di etnia Rom, costrette a vivere per mesi con una temperatura
esterna che spesso oltrepassava la soglie di dieci gradi sotto zero. Le
precarie dimore erano riscaldate alla meglio da piccole e malandate stufe a
kerosene o elettriche e munite di servizi igienici di fortuna all’esterno.
Spesso in quelle povere abitazioni ci si imbatteva in occupanti adulti che avevano
subito mutilazioni accidentali avendo urtato mine anti uomo ancora attive in
tantissimi territori della Bosnia.
Il giorno dell’Epifania del 2008,
organizzati in una piccola scuola di Cerska divenuta punto di riferimento
logistico, i volontari di don Ermanno vinsero la diffidenza dei molti Rom che
lì erano giunti dopo aver percorso anche chilometri a piedi sotto la neve e poterono così condividere con loro attimi
di gioia attraverso canti e balli ed infine procedere alla distribuzione di
doni giunti dall’Italia.
Vedere donne e bambini caricare
sulle spalle quanto ricevuto per poi affrontare tanta strada a piedi in
condizioni meteo proibitive per tornare alle loro dimore, faceva comprendere di
quanto aiuto avessero bisogno.
Cerska lasciò una ricordo indelebile
nella memoria dei volontari mentre nel cuore di don Ermanno la promessa di un
presto ritorno già si radicava feconda di nuove idee per i prossimi interventi.
Quasi giunti alla termine di quell’indimenticabile
viaggio di amore solidarietà, toccava raggiungere la lontana Sebrenica, teatro
non solo di feroci battaglie tra le varie etnie ma tristemente nota al mondo
intero soprattutto per gli atti di pulizia etnica che l’esercito filo Serbo
aveva compiuto in danno alla comunità
Musulmana.
Dopo aver incontrato la popolazione
ancora sotto shock per tali accadimenti consumati solo qualche anno prima, i
volontari raggiunsero il cimitero costruito proprio per commemorare le vittime
di tale atrocità.
Fu lì che l’eco di tanto orrore
sembrò materializzarsi. Una distesa enorme di lapidi bianche verticali, piccole
torri grandi poco più di un metro, attestavano che oltre seimila musulmani
erano stati lì sepolti dopo essere stati trucidati per mano dei Serbi e gettati
in fosse comuni. Al proseguire delle ricerche il numero delle vittime sarebbe
poi cresciuto fino a raggiungere quasi diecimila tra uomini, donne e bambini
trucidati senza pietà.
L’esperienza di quei giorni trascorsi tra Sarajevo, Drin., Cerska
e Sebrenica fu talmente coinvolgente che durante il viaggio di rientro in Italia, dall’interno del
suo mini bus, l’amore senza confini di
don Ermanno lo portava già a pianificare
le future missioni che avrebbero trovato
il loro nuovo fulcro bosniaco proprio in Cerska.
Ad oggi, a distanza di pochi anni,
l’avvicendarsi sia dei campi di lavoro e condivisione a Cerska sil il
consolidarsi di insediamenti sempre più stabili a Mostar e Medjugorie,
testimoniano la presenza sempre più fitta della “Fondazione Internazionale il Giardino delle Rose Blu” anche in
terra di Bosnia.
I prossimi capitoli di questa
straordinaria e coinvolgente avventura umana e spirituale che in don Ermanno trova
un motore infaticabile, potranno essere scritte anche con l’aiuto di chi legge.
Non esitate a dare una svolta ed a
capire il senso profondo della vostra vita e visitate il sito
oppure
contattate via e mail l’associazione Humanitas
Italia all’indirizzo di posta elettronica
humanitasitalia@gmail.com
Piccoli
fiori ghiacciati
sotto la
spessa neve di Zagabria
le braccia
distese lungo il corpo,
come foglie
lungo uno stelo troppo fragile
ma muto nei
confronti del dolore
piccoli
fiori ghiacciati.
Non c’e’ più
colore sui petali delle gote
brinati dai
fiocchi della neve di Zagabria,
ma, ora, le
vostre mani scavano quella neve
sciolgono il
ghiaccio che blocca i sorrisi,
le catene
dell’indifferenza.
Le vostre
mani cingono i piccoli fiori
danno loro
nuova vita e colori nuovi
il sole
pallido torna ad accarezzare i petali
che adesso
vivono … vivono!
I piccoli fiori
rinati
ora cercano
quelle mani così calde,
così
accoglienti …
E tutte per
loro … solo per loro
i piccoli
fiori ora sorridono, sorridono
di nuovo
Zagabria, inverno 1999 - 2000, testimonianza di una Volontaria